A lungo la criminalità organizzata calabrese ha sfruttato i riti religiosi per affermare il proprio potere, fra inchini e infiltrazioni nelle processioni, e non solo al santuario di Polsi, noto per i summit delle famiglie 'ndranghetiste. Ma dopo le parole del Papa, che nel giugno 2014 a Cassano allo Ionio disse che gli uomini della 'ndrangheta «non sono in comunione con Dio, sono scomunicati», qualcosa sta cambiando.
I fedeli hanno preso a fidarsi dei preti più impegnati e, se sostenuti, denunciano ad esempio chi li taglieggia. In diverse diocesi sono poi nati i decaloghi per le processioni "pulite", con regole e attenzioni per tenere la criminalità organizzata lontana dalle manifestazioni di fede e il tema viene affrontato e studiato anche nei seminari.
«Francesco per la prima volta, più che ai mafiosi, si è rivolto ai vescovi e agli uomini di Chiesa. Da allora vedo le posizioni di alcuni vescovi molto più chiare e determinate contro la criminalità organizzata», nota Nicola Gratteri, procuratore di Catanzaro.
«La strada è ancora lunga ma l'impegno della Chiesa è di prospettare soluzioni concrete: gli antidoti sono regole severe per i riti, denuncia e formazione», commenta monsignor Vincenzo Bertolone, arcivescovo di Catanzaro-Squillace e presidente della Conferenza episcopale calabrese.
«Proponiamo - prosegue mons. Bertolone - quello che mi piace definire il "metodo Puglisi": legalità e fede. La Chiesa professa con coraggio che, per sconfiggere il male, ciascuno deve fare il proprio dovere fino in fondo. E alla Chiesa si deve chiedere di essere Chiesa, educatrice delle coscienze nello spirito e nell'insegnamento del Vangelo, senza più incertezze né tentennamenti».