22/01/2021
LIBRI
Al centro del libro, la vicenda di Guglielmo, studente dell’ultimo anno di liceo che, pur intraprendente e capace, non si adatta al mondo della scuola. Proprio lui, tuttavia, attraverso il racconto dell’amico Ferdinando, appassionato di storia, sembra essere proiettato nella vicenda di un frate, Padre Massimiliano Kolbe, che nel buco nero dell’Europa ha salvato la vita a un compagno di prigionia accettando la morte per fame e sete.
La narrazione si concentra sulla volontà di Guglielmo di non tirarsi indietro e scrutare l’oscuro. In questo esercizio dello sguardo, Guglielmo vede la misericordia del frate nei confronti del capo, artefice di una morte tanto ignobile ma travolto, suo malgrado, dall’amore di un gesto estremo; vede Anita, la moglie del capo, sempre più insofferente al sistema in cui il marito è immerso e vede, seppure da distante e con pudore, il lento consumarsi del frate e dei suoi compagni.
In questa prospettiva visionaria, Guglielmo si sdoppia. Ha 19 anni qui, nel 2011, ha amici, desideri, aspettative, una storia appena cominciata con Clarissa e 39 anni là, nel 1941. Là, vive a Cracovia, città occupata e umiliata, e non lontana dal buco nero, espressione figurata di Auschwitz nel romanzo. Là, si chiama Abel, fa l’architetto e anche lui, per particolari circostanze, incontra Anita, “subisce” la figura del capo e sente in modo irriflesso la forza del frate.
Il romanzo si muove fra questi due piani basculanti, fra questi due personaggi di cui uno è nato nella testa dell’altro. Ma è sulla morte rappresentata che il romanzo indugia. Qui entrano in gioco i compagni di classe di Guglielmo e con i quali Guglielmo, malgrado le difficoltà, ha un dialogo aperto e franco. Saranno loro ad accettare, in qualche forma, di prendersi sulle spalle la vicenda del frate, mettendo in scena la morte di uno che avuto il coraggio di dare la vita per gli amici. E sarà Abel, in modo inconsapevole, a presagire, anche lui, la vicenda di un uomo che ha incontrato il Bene inesauribile e che per questo può capovolgere la sorte di chi gli sta attorno. E non solo, anche di tutti coloro che hanno accettato e che ancora accettano la sfida di andare oltre lo schermo del visibile.
«Nel romanzo la storia non è solo un racconto di fatti “lontani”. Avviene adesso. Riguarda un giovane dei nostri giorni. Si crea un meraviglioso intreccio fra passato e presente. Il tempo si contorce. Ci si trova tutti contemporanei».
(Dalla Prefazione di Mons. Derio Olivero, Vescovo di Pinerol
Graziella Bonansea, Più che la notte, Edizioni San Paolo 2021, pp. 416, euro 20,00
Graziella Bonansea è storica e scrittrice. Formatasi a Torino e a Parigi, dove ha perfezionato i suoi studi su Immaginari e Culture contemporanee, Membro della Società Italiana delle Storiche, ha pubblicato in Italia e all’estero numerosi saggi sull’immaginario del corpo e della soggettività femminile, sui paesaggi culturali nella visione religiosa valdo-protestante, sulla questione del trauma nell’esperienza delle Guerre Mondiali, su miti e simboli dei totalitarismi moderni e sulla memoria culturale e visuale negli immaginari giovanili. Ha tenuto corsi di Storia delle donne all’Università del Piemonte Orientale e, dal 2013 al 2018, ha lavorato a una ricerca su Corpi, Memorie e Confini nei nuovi scenari europei promossa dall’European Research Council e che ha fatto capo all’European University Institute di Firenze. Sfidata da nuovi sguardi e linguaggi verso la storia e la memoria, alla fine degli anni Novanta, si è aperta alla scrittura letteraria. Ha pubblicato i romanzi, Margherita madre d’acqua (Tre Lune 1999), Come il re e la regina (La Tartaruga 2004), Tre inverni (La Tartaruga 2005), Cécile di sete e di acque (Neos Edizioni 2016). Più che la notte è il è il suo quinto romanzo.